Domande di oggi

08/05/2017

Come funziona il semipresidenzialismo francese?


Il sistema elettorale francese per l'elezione del Parlamento è un sistema a doppio turno, che prevede che nei singoli collegi vadano al ballottaggio i candidati che hanno ottenuto il 12,5% dei voti. E il nuovo inquilino dell'Eliseo corre il rischio di ritrovarsi senza una maggioranza in Parlamento. Molto più che dalle presidenziali, la stabilità politica della Francia dipenderà proprio dalle elezioni per l'Assemblea nazionale.

 

«Macron presidente. Domenica il passaggio dei poteri con Hollande», sky TG 24, 8 maggio 2017

 

 

La risposta in un Pixel

 

«Contrariamente a un’opinione malamente diffusa, in Italia, ma anche in Francia, il semipresidenzialismo non è né una variante indebolita del presidenzialismo né una variante potenziata del parlamentarismo. È un modello di governo a sé stante: presidente della Repubblica e Assemblea Nazionale sono eletti separatamente, ancorché, nell’ordine, a distanza di poche settimane. L’Assemblea Nazionale non può sfiduciare il presidente, ma può sfiduciare il primo ministro, nominato dal presidente il quale, nominandolo, ha dovuto sostanzialmente tenere conto della maggioranza esistente nell’Assemblea Nazionale e delle sue preferenze. Il presidente, non il primo ministro, può sciogliere l’Assemblea Nazionale purché abbia già compiuto un anno di vita.

In apparenza potenzialmente molto forte dal punto di vista istituzionale, il presidente della Quinta Repubblica deve fare i conti con due fattori. Il primo è che la sua forza istituzionale dipende soprattutto dall’esistenza nell’Assemblea Nazionale di una maggioranza a lui favorevole. Altrimenti, non soltanto il presidente è costretto a nominare primo ministro il capo della maggioranza parlamentare a lui probabilmente ostile, ma ha perso la quasi totalità dei suoi poteri istituzionali, tranne il potere di sciogliere l’Assemblea Nazionale, che verranno esercitati dal primo ministro. Il secondo fattore è che il presidente è forte esclusivamente se è il capo effettivo e riconosciuto del partito più grande della coalizione governante. Non fu così per Valéry Giscard d’Estaing (1974-1981), capo dei Repubblicani Indipendenti, allora grandi all’incirca un terzo dei gollisti. In misura minore, neppure Nicholas Sarkozy, considerato dai gollisti puri e duri un parvenu un po’ rozzo, fu mai in totale controllo del partito gollista.

La situazione nella quale il presidente della Repubblica deve fare i conti con una maggioranza a lui avversa nell’Assemblea Nazionale viene definita coabitazione. Non è assimilabile al governo diviso nella versione USA. Infatti, nella coabitazione francese c’è sempre qualcuno che governa: il primo ministro che può fare leva sulla maggioranza parlamentare in assenza della quale non sarebbe neppure in carica. Il caso più eclatante fu quello della coabitazione più lunga (1997-2002, un’intera legislatura) fra il presidente gollista Jacques Chirac e il primo ministro socialista Lionel Jospin. Pur con cautela, per non dare adito a Chirac di sciogliere il Parlamento, Jospin governò per tutta la legislatura. Invece, nel caso di governo diviso, praticamente nessuno, né il presidente né il Congresso, riesce effettivamente a governare. Lo stallo totale, detto gridlock, viene evitato attraverso l’approvazione di misure minimali, con accordi di basso profilo, con distribuzione clientelare di risorse (pork) e cariche (patronage) dal presidente ai parlamentari, tutto a spese del bilancio federale. Quando il presidente USA, un terzo dei senatori, tutti i rappresentanti tornano, dopo una fase di governo diviso, a chiedere il voto agli elettori, cercano di scaricarsi reciprocamente le responsabilità. La pratica del buckpassing, dello scaricabarile, va a totale detrimento dell’accountability, ovvero del rendere genuinamente conto agli elettori di quanto fatto, non fatto, malfatto. Si configura come un disservizio agli elettori e una ferita piuttosto profonda al circuito democratico. Invece, nel caso francese della coabitazione, non soltanto è sufficientemente chiaro che chi ha il potere istituzionale di governo è il primo ministro, ma è altrettanto chiaro che, fatte salve alcune decisioni eccezionali, è lui che dovrà rendere conto del fatto, del non fatto e del malfatto. È lui che gli elettori potranno, se vorranno, ritenere responsabile.

Insomma, il semipresidenzialismo francese si presenta come un modello funzionante e flessibile grazie al quale chi lo «importasse» potrebbe potenziare il capo dello Stato e il capo del governo.

Anche in questo modello, il potere politico va ad accrescere o a ridurre il potere istituzionale. La comparazione a livello generale fra semipresidenzialismo e parlamentarismo non è la più produttiva. Invece, la comparazione fra il parlamentarismo della Quarta Repubblica francese (1946-1958) e il semipresidenzialismo della Quinta Repubblica (1958 ad oggi), comparazione diacronica di due casi nei quali varia soltanto la forma di governo (e, in subordine, il sistema dei partiti costretto dalle nuove regole istituzionali ed elettorali a trasformarsi profondamente) mette in luce senza ombra di dubbio che il semipresidenzialismo ha prodotto una situazione nella quale i detentori del potere esecutivo sono in grado di esercitare significativi poteri istituzionali persino in condizioni politiche molto diverse. Come dimostra anche la sua diffusa espansione, in Europa centro-orientale (Polonia, Romania, Ucraina, Russia), a Taiwan, nell’Africa subsahariana (Niger, Madagascar, Mozambico, Guinea Bissau), il semipresidenzialismo funziona e viene ampiamente apprezzato. Costituirebbe sicuramente una soluzione per chi dichiara di desiderare capi del governo istituzionalmente forti e politicamente autorevoli.»

 

Per saperne di più: Pixel Politica e istituzioni

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