Domande di oggi

26/06/2016

Quali sono le fasi della globalizzazione?


«No, non credo che la globalizzazione si fermerà. L’innovazione scientifica è un fenomeno globale. Curare il cancro, sradicare la malaria e la poliomielite, combattere l’Hiv sono attività globali. Gli scienziati collaborano a livello globale più di quanto sia mai accaduto prima. E l’Europa dovrebbe essere orgogliosa del contributo dato ai Paesi poveri».

 

Massimo Franco, «Bill Gates: la globalizzazione va avanti All’Italia conviene aiutare l’Africa», Corriere della Sera, 26 giugno 2016

 

La risposta in un Pixel

 

«Thomas Friedman identifica tre fasi della globalizzazione intesa in senso lato. In Il mondo è piatto. Breve storia del ventunesimo secolo(2007), egli sostiene che la globalizzazione ha come effetto primario il rimpicciolimento del mondo: in concreto, una riduzione dinamica (dynamic shrinking) dei fattori che dividono il mondo economicamente e socialmente.

La prima fase della globalizzazione inizia con la scoperta del Nuovo Mondo e si conclude nel 1800. è l’età in cui l’Europa, divenuta centro del mondo per potere, conoscenza e ricchezza, con l’espansione colonialista unifica il mondo. Il volàno in questa fase è costituito dai «muscoli» (navi e cannoni), dall’energia eolica, da quella ottenuta dal vapore e soprattutto da come creativamente queste energie sono impiegate.

La seconda ondata della globalizzazione, dal 1800 alla metà del XX secolo, rimpicciolisce ulteriormente il pianeta. È l’età della Pax Britannica, in cui la spinta è data dalle nuove istituzioni, in particolare dall’emergenza dei mercati globali e delle multinazionali. Queste grandi compagnie sfruttano la riduzione dei costi di trasporto e poi di comunicazione per tessere intorno al mondo una rete continua di prodotti, di capitali e di forza lavoro. Sono attive soprattutto nei settori del commercio, della navigazione e delle miniere, sviluppando conglomerati su scala mondiale concentrati sulla produzione agricola e manifatturiera.

Questa ondata globalizzante scema gradualmente con l’inizio del XX secolo, fino a bloccarsi quasi del tutto nel periodo tra le due guerre mondiali, durante il quale prevale il protezionismo nazionalista.

La terza fase, iniziata nell’immediato dopoguerra, ha visto negli ultimi decenni un’accelerazione. Oltre a ridurre il nostro pianeta alla taglia «extra-small», la globalizzazione livella o meglio appiattisce il terreno di gioco su cui si incontrano/scontrano le società transnazionali, aziende e individui di tutto il mondo. È l’età della Pax Americana, in cui il volàno non è costituito né dai muscoli (come nella prima fase) né dalle istituzioni (come nella seconda) ma essenzialmente da Internet, la quale consente alle grandi TNC ma anche al singolo individuo di «qualsiasi colore dell’arcobaleno umano» e a ogni paese appartenente a qualsiasi civiltà di partecipare alla chat room della globalizzazione.

Questa è per l’appunto, afferma Friedman, come una «camicia di forza dorata» che premia chi sa indossarla e punisce chi la rifiuta confinandolo tra i «lenti», tra coloro che si attardano in anguste valli. Ma la realtà, si sa, è molto complessa: non è composta solo di microchip e computer ma anche di uomini, donne, tradizioni e aspirazioni. Il brillante editorialista del New York Times afferma infatti che la realtà non ha solo siti Internet e mercati globalizzati ma anche nodosi e secolari alberi di ulivo come quelli che si trovano sulle rive del Giordano, per la conquista dei quali palestinesi e israeliani rischiano la vita. In effetti, le sue riflessioni iniziali, contenute nel suo primo saggio The Lexus and the Olive Tree (1999), nascono dall’osservazione che mentre a Nagoya, in Giappone, si produce la lussuosa e completamente automatizzata autovettura Lexus, a Gerusalemme e a Beirut invece si continua a combattere per il controllo di un albero di ulivo. Certamente, gli ulivi sono importanti perché rappresentano le nostre radici, la nostra comunità, la nostra identità che se concepita in maniera essenzialistica può portare alla violenza. Al contrario, la Lexus rappresenta l’altro nostro impulso, quello al cambiamento e al miglioramento, che oggi ha la sua più evidente manifestazione nel fenomeno della globalizzazione.»

 

Per saperne di più: Pixel Relazioni internazionali

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