Non esiste un’imprenditorialità vecchia e nuova, ma l’imprenditorialità in un contesto più dinamico, mutevole e con strumenti dal potenziale innovativo dirompente. In Italia, a differenza degli Usa, questa mentalità va ancora sviluppata. Per farlo occorre confrontarsi con barriere tecnologiche, normative e individuali
Antonio Ghezzi, «“Cultura da startup”: che cosa significa e come ricrearla in Italia», EconomyUp, 20 Ottobre 2017
La risposta in un Pixel
«Non c’è alcun dubbio sul fatto che il nostro ecosistema imprenditoriale abbia compiuto molti passi avanti negli ultimi anni. È aumentato sostanzialmente il numero di nuove iniziative imprenditoriali, si sono moltiplicati gli attori di supporto ed è cresciuta notevolmente l’attenzione mediatica sul fenomeno. Dal punto di vista della politica economica le misure in tema di «startup innovative» sono segno di un’apertura e di una volontà di dialogo e di cambiamento da parte di tutti gli attori in causa (imprenditori, incubatori, sistema finanziario, governo ed enti territoriali).
Vi sono tuttavia sostanziali limiti che fanno sì che il nostro ecosistema non sia ancora in grado di misurarsi con le principali realtà europee. L’aspetto di maggiore debolezza oggi riguarda le risorse finanziarie disponibili, che, come evidenziato dai dati di settore, sono ancora molto contenute. Ne conseguono due fondamentali problemi:
- la carenza di operazioni di seed investment, che limita il supporto alla generazione di nuove iniziative, soprattutto se perseguono un modello disruptive;
- la ridotta dimensione delle risorse allocabili in fase di sostegno alla crescita e di scale-up (round A e successivi), che condiziona il potenziale di sviluppo delle nuove imprese, soprattutto se paragonate ad altri contesti territoriali (come il Nord America o il Nord Europa).
Le istituzioni pubbliche stanno cercando di porre rimedio a questi problemi – i bandi regionali rappresentano un «surrogato» nella copertura dei fabbisogni finanziari di seed investment – ma non sono gli unici interlocutori a dover essere coinvolti. Rispetto ad altri paesi, in Italia il ruolo di attori come gli investitori istituzionali (assicurazioni, fondi pensione ecc.) o i family office, che potrebbero apportare una quantità importante di risorse, è ancora marginale. La mancanza di mercati di exit sviluppati (aziende, private equity, mercati azionari) che riduce le possibilità di monetizzare gli investimenti in nuove imprese, rappresenta un altro limite all’attrazione delle risorse.
A queste difficoltà si aggiungono i problemi strutturali che affliggono il nostro sistema paese e che non possono essere superati semplicemente istituendo statuti speciali per le startup innovative. Considerato che l’Italia oggi si posiziona, secondo la World Bank, al 50esimo posto a livello mondiale nell’indicatore di «Doing Business» (63esimo per il sottoindicatore legato all’avvio di nuove attività imprenditoriali), le misure introdotte rappresentano una goccia nell’oceano; ciò che costituisce un’eccezione nel nostro paese, in altre nazioni è la normalità. Nondimeno si può immaginare che una sperimentazione di queste azioni possa essere la base per riflettere su riforme da estendere a tutte le imprese italiane.
Tre i punti di policy sui quali agire per far sì che lo sforzo profuso possa produrre risultati più rilevanti. Primo, spostare il baricentro dalle idee imprenditoriali allo sviluppo delle aziende: se oggi gran parte delle azioni si concentrano sullo stimolo alla nuova imprenditorialità, occorre ampliare le risorse a supporto della crescita – per esempio, incentivando l’allocazione di capitale sul segmento venture capital da parte di investitori istituzionali e corporate – e sviluppare il mercato delle exit introducendo agevolazioni all’acquisizione di startup da parte di altre aziende. Secondo, passare dal sussidio di nuove iniziative al supporto alla generazione di nuovi mercati, agendo sulle leve della semplificazione, della liberalizzazione e dell’adozione di standard tecnologici innovativi (pensiamo ai pagamenti elettronici o agli open data). Terzo, stimolare effetti di ricaduta sull’economia tradizionale incentivando le piccole e medie imprese, oggi più che mai bisognose di innovazione e di proiezione internazionale, ad aprirsi alla collaborazione con le realtà emergenti e indirizzare la nascita di nuove aziende ai settori di riferimento del nostro paese.»
Per saperne di più: Pixel Imprenditorialità