Gli immigrati sono per lo più giovani adulti e non gravano ancora sul sistema pensionistico. Se si guarda il rapporto tra ciò che versano in termini di contributi e ciò che incassano o fruiscono in termini di servizi il saldo è largamente positivo per il nostro Paese. Anche qui si tratta di sfatare un altro fantasma: che gli immigrati siano un fardello per l’Italia, predatori di risorse scarse.
Patrizia Caiffa, «Immigrazione: il sociologo Ambrosini, “i fantasmi da sfatare” dallo ius soli all’accoglienza fino alle Ong», Agenzia S.I.R. (Servizio Informazione Religiosa), 20 luglio 2017
La risposta in un Pixel
Alla questione del nesso tra povertà e immigrazione se ne collega un’altra: gli immigrati vengono qui per approfittare del nostro sistema di welfare? I costi dei salvataggi in mare e dell’accoglienza dei richiedenti asilo sembrano dare una risposta lampante e nettamente affermativa alla domanda, soprattutto se si continuano a confondere i circa 180.000 profughi accolti in Italia a spese del sistema di accoglienza con i 5,5 milioni di immigrati residenti. Diventa facile contrapporre l’assistenza concessa ai rifugiati con la dura sorte di disoccupati e sfrattati, dei poveri italiani in generale. Anzi, chi si leva in difesa del diritto di asilo rischia di venire accusato di essere nemico degli italiani poveri. Da questo punto di vista, sia pure per ragioni polemiche e spesso strumentali, immemori del fatto che nel passato anche recente la mancata accoglienza dei profughi non si abbinava a serie politiche di contrasto alla povertà, la contrapposizione tra le due categorie ci ricorda che nel nostro paese le misure di sostegno ai cittadini con redditi inadeguati sono drammaticamente carenti.
Non è detto però che un welfare efficiente e generoso o un’economia prospera innalzino i livelli di accettazione e mettano a tacere le voci xenofobe. In Germania nel 2016 si sono verificate più di 3.500 aggressioni contro i profughi, le strutture che li accolgono e gli operatori umanitari che li assistono. Più precisamente, 2.545 attacchi hanno preso di mira le persone, 988 le strutture, 217 le associazioni, gli operatori e i volontari. Sono rimaste ferite 560 persone, tra cui 43 minori. Il fenomeno per di più è in crescita, giacché nel 2015 gli attacchi erano stati 1.031.
Ma le recriminazioni nei confronti di richiedenti asilo e immigrati ricorrono anche a un altro argomento, apparentemente inattaccabile perché basato sull’esperienza diretta e oggettiva: se si accede a un pronto soccorso, si accompagnano i figli a scuola, si analizzano le domande per l’edilizia sociale, si ha l’impressione di un sovraccarico d’immigrati tra i beneficiari o gli aspiranti beneficiari dei servizi pubblici. Secondo una ricerca condotta dalla Fondazione Moressa nel 2015, circa il 60% degli italiani pensa che gli immigrati non contribuiscano, o contribuiscano poco, a sostenere il sistema previdenziale italiano, e una percentuale ancora maggiore (64%) pensa che gli immigrati stiano usufruendo del sistema di welfare in misura maggiore degli italiani.
Andiamo a vedere anche in questo caso come stanno le cose. L’analisi deve partire da un semplice dato demografico: gli immigrati sono mediamente giovani, soprattutto in un paese di recente immigrazione come l’Italia. Di conseguenza, pesano poco sulle pensioni e sulla sanità, che sono le voci più cospicue della spesa sociale, e questo vantaggio dura per diversi decenni. Sull’altro versante, per ragioni analoghe il tasso di occupazione degli immigrati (ossia il rapporto tra occupati e popolazione complessiva), sebbene in ribasso per effetto della crisi e dell’evoluzione demografica (nascita di figli), è elevato. Come già ricordato, secondo l’Istat, 2,3 milioni di immigrati lavorano regolarmente in Italia.
Gli studi sull’argomento mostrano che il saldo tra contributi versati e servizi ricevuti dagli immigrati è per ora nettamente positivo, pur tenendo conto dell’aumento di spesa per servizi pediatrici, scuole, servizi sociali, ordine pubblico, regolazione dei soggiorni, accoglienza dei profughi: si stima che gli immigrati con i loro contributi paghino attualmente le pensioni di 600.000 italiani. Secondo le stime della Fondazione Moressa, sommando le diverse voci (Sanità, Scuola, Servizi sociali, Casa, Giustizia, Accoglienza e rimpatri e Trasferimenti economici), la spesa sostenuta dallo Stato italiano a vantaggio degli immigrati ammonta a 14,7 miliardi di euro, pari a circa l’1,8% del totale della spesa pubblica. Sotto il profilo delle entrate, rappresentate principalmente da gettito Irpef e contributi previdenziali, i versamenti degli immigrati totalizzano 16,9 miliardi di euro, con un saldo positivo pari quindi a 2,2 miliardi di euro.
Certo, questo vantaggio non dura per sempre. Anche gli immigrati invecchieranno, si ammaleranno, e un giorno, se saranno rimasti in Italia, reclameranno il diritto alla pensione. Con i decenni la loro struttura demografica si approssima a quella della popolazione nativa, e il vantaggio fiscale declina. A meno che non arrivino nuovi immigrati giovani e laboriosi a far ripartire il ciclo: siano nuovi ingressi dall’estero o figli degli attuali immigrati giunti all’età adulta, i nostri faticosi equilibri fiscali traggono giovamento dall’apporto di nuovi immigrati.
Bisogna poi tenere conto di altri due aspetti. Il primo è l’impatto dei 5,5 milioni di immigrati residenti in Italia sui consumi, e quindi sul circuito produzione-commercio-prelievo fiscale. Alcuni settori economici in modo particolare, come la vendita di auto usate, l’affitto e la vendita di piccoli appartamenti e negozi inutilizzati nei quartieri meno pregiati delle città, i supermercati delle periferie, i mercati rionali, i prodotti per l’infanzia, hanno visto crescere il loro giro d’affari grazie all’insediamento stabile della popolazione immigrata.
Forse ancora più importante è poi un altro fenomeno […]: il ruolo determinante degli immigrati, e specialmente delle donne immigrate, nel funzionamento di quello che può essere definito welfare parallelo o «invisibile».
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