Domande di oggi

09/06/2017

Ragionamento e conoscenza: come ci aiuta la filosofia?


[…] la filosofia, per anni considerata materia “inutile” o relegata esclusivamente nei licei a indirizzo umanistico, riacquista uno spazio importante, diventando una disciplina indispensabile per l’acquisizione del proble solving, alla stessa stregua della matematica.

 

Antonella Bonavoglia, «Per le professioni del futuro bisogna studiare filosofia», Alley Oop (Il Sole 24Ore), 27 aprile 2017

 

 

La risposta in un Pixel

 

«Immaginate che una giuria debba decidere di un caso di aggressione. La vittima è davanti alla giuria e racconta i fatti. La giuria è convinta che la vittima stia dicendo la verità. La giuria crede alla testimonianza della vittima, dunque acquisisce una credenza sui fatti, ossia che ci sia stata davvero un’aggressione quella sera, a quell’ora, in quel posto, con quei danni ecc. Si dà il caso che la vittima sia sincera e che effettivamente sia stata aggredita nelle circostanze che ha riportato alla giuria. Possiamo dire che la giuria ora sa che l’aggressione c’è stata, ossia ha acquisito la conoscenza di quel fatto? Qual è la differenza tra credenza e conoscenza?

Il problema epistemologico posto da Platone in uno dei suoi dialoghi più importanti, il Teeteto, è ancora al centro dei dibattiti nell’epistemologia contemporanea, ossia di quella branca della filosofia che si occupa di definire che cosa sia la conoscenza. Platone risponde negativamente: anche se la vittima stava dicendo la verità, la giuria non ha conoscenza dei fatti. Ha solo acquisito una credenza che si dà il caso che sia vera, ossia che corrisponda ai fatti. Ma per avere conoscenza non basta avere una credenza che corrisponda ai fatti. Bisogna averla acquisita in modo appropriato. Bisogna avere metodo. La giuria infatti potrebbe essere arrivata a credere alla verità di ciò che raccontava la vittima solo per persuasione, perché il racconto era convincente, o peggio, avvincente, dunque capace di mettere gli ascoltatori in una disposizione speciale a credervi. Se accettiamo una credenza vera sulle stesse basi che ci potrebbero portare a una credenza falsa (come la persuasione) allora non conosciamo davvero, perché non abbiamo la giusta via per arrivare alla conoscenza, una via che escluda dal suo cammino qualsiasi credenza falsa. La credenza vera della giuria è, per così dire, vera «per caso»: una fortunata coincidenza fa sì che la giuria sia stata persuasa da una vittima onesta. Ma avrebbe potuto anche essere persuasa da una vittima disonesta…

Che cosa c’è da aggiungere allora a una credenza vera perché diventi conoscenza? Bisogna aggiungere un metodo di ragionamento che ci porti a conoscere in modo autonomo a partire dal nostro ragionare e non da quello degli altri. Dobbiamo dunque essere in grado di «riprodurre» nel nostro pensiero le tappe del ragionamento in questione, comprenderle in modo autonomo e saperle ricostruire per poterle trasmettere ad altri. Dobbiamo insomma disporre di qualcosa come di una prova o una giustificazione di ciò che ci è stato detto.

La conoscenza si distingue dalla credenza vera perché, appunto, non solo è vera, ma è anche giustificata e intrattenuta in modo autonomo nella mente del soggetto conoscente. La condizione dell’autonomia è particolarmente importante nella definizione stessa di soggetto conoscente: il soggetto che conosce – che ha accesso all’episteme, che in greco antico significa «scienza, sapere» – è autonomo nel senso che dispone dentro di sé delle regole di ragionamento che lo portano a una conclusione vera, corretta. Se il suo sapere dipende solo dal sapere degli altri, allora la sua credenza non è conoscenza, ma opinione (dóxa in greco antico, che significa «apparenza, accettazione»), ossia qualcosa che non dipende dalle nostre capacità di ragionare, un sapere che non è autonomo, ma dipende da ciò che accettiamo di credere.

La distinzione tra conoscenza e opinione, tra episteme e dóxa, è forse la caratteristica più saliente del pensiero di Platone e ancora oggi la «marca» dell’epistemologia. Il criterio di demarcazione tra sapere vero e opinione, tra scienza e pseudo-scienza, può variare da una società all’altra, può essere influenzato dallo sviluppo scientifico, ma è un progetto fondamentale dell’epistemologia dall’antichità ai nostri giorni.»

 

Per saperne di più: Pixel Filosofia

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