[…] se è vero che non c’è una maggioranza a sostegno dell’Unione, è altrettanto vero che non c’è una maggioranza che ne chiede lo scioglimento. Siamo in una terra di mezzo estremamente preoccupante, e quello di cui l’Unione ha bisogno oggi per rilanciarsi sono fatti concreti, progetti industriali e d’investimento comune, una difesa comune, una ricerca e grandi università europee, una politica e una transizione energetica comuni.
Bernard Guetta, «Perché non possiamo rinunciare all’Unione europea», Internazionale, 24 marzo 2017
La risposta in un Pixel
«Il contributo che l’Unione europea dà al benessere dei suoi cittadini è inferiore, ben inferiore, rispetto a quello che le sue potenzialità consentirebbero. Di questo molti europei si mostrano già da tempo consapevoli e danno sfogo al loro scetticismo nei confronti di questa istituzione che è nata, lo abbiamo ricordato, da un nobilissimo intento e che ancora oggi dispone di tutte (o quasi) le condizioni necessarie per disegnare un nuovo sentiero virtuoso di benessere, sviluppo e democrazia.
Molti pensano, in particolare, che uscire dall’euro sia la cosa più saggia da fare e da questa uscita si aspettano miglioramenti di cui, in realtà, nessuno può essere certo sia perché mancano esperienze storiche in grado di illuminarci sia perché nessuna teoria economica è in grado di prevedere in modo attendibile quello che potrà accadere, nell’immediato e anche su un orizzonte temporale più lungo. Si tratterebbe, in definitiva, di una scommessa ad altissimo rischio per cui sarebbe la propensione individuale rispetto al rischio, non una rigorosa analisi, a determinare la posizione da assumere.
Restando sul terreno dell’analisi si può affermare che scelte diverse di politica economica rispetto a quelle sin qui effettuate potrebbero contribuire significativamente a migliorare la popolarità e anche la legittimazione di questa istituzione.
[…] alcune delle idee che più profondamente hanno ispirato il disegno delle istituzioni economiche, oltre che le scelte concrete di politica economica, sono piuttosto discutibili e si è anche visto come alcune delle ragioni addotte a sostegno di queste politiche siano fondate ma troverebbero soddisfazione anche in un contesto nel quale le politiche fiscali potessero muoversi con maggiore libertà (senza essere alternative ad altre importanti politiche) e l’attenzione alle questioni sociali fosse maggiore, a iniziare da quella per le disuguaglianze che in Europa hanno raggiunto livelli elevati e difficilmente giustificabili oltre che probabilmente dannosi per lo stesso processo di crescita economica.
In termini molto generali, si può affermare che l’Unione europea sta trattando piuttosto male la politica economica. La depotenzia in molti suoi aspetti (non solo rispetto alla politica fiscale, lo stesso potrebbe dirsi per esempio della politica industriale); la sottopone a regole apparentemente rigide che, però, talvolta nascondono un fastidioso grado di discrezionalità; le impone obiettivi che troppo spesso sono il frutto non soltanto di scelte tecnocratiche ma anche di visioni del benessere sociale poco sensibili alla varietà di fattori da cui quel benessere dipende.
[…] possiamo dire che forse la causa di tutto ciò è l’adesione all’idea che quelli che abbiamo chiamato «fallimenti dello stato» sono pervasivi e la soluzione consiste nel ridurre la discrezionalità nella scelta degli strumenti e nella fissazione degli obiettivi da raggiungere. Questa conclusione meriterebbe di essere messa a confronto con una soluzione alternativa: quella che consiste nel rafforzare la caratura democratica delle decisioni con tutto quello che può derivarne per i «fallimenti dello stato», la gestione della politica economica e, alla fine, il benessere dei cittadini.
In effetti, sul terreno della democrazia, pur senza voler enfatizzare troppo questo aspetto, l’Unione europea presenta alcune debolezze. Queste riguardano, tra l’altro, la sua forma di governo (i rapporti tra Parlamento e Commissione, per cui l’organo elettivo – il Parlamento – ha un potere assai limitato, anche dopo i progressi compiuti con il Trattato di Lisbona, di scegliere e controllare l’esecutivo); la trasparenza delle decisioni della BCE (dei lavori dei suoi organi direttivi non vengono divulgati i verbali); la limitazione della sovranità nazionale implicata dalla stretta condizionalità che di fatto trasferisce il potere di definire gli obiettivi da perseguire a un organo di incerta natura giuridica quale è la troika.»
Per saperne di più: Pixel Politica economica