In una lettera alla rivista scientifica a The Lancet, Bogoch I.I. e colleghi hanno sviluppato un modello teorico di diffusione mondiale dello Zika virus. Tale modello è stato elaborato adattando il modello per il virus Dengue, che integra i dati sulla distribuzione dell’Aedes aegypti e albopictus con i profili di temperatura in tutto il mondo.
Gli Autori hanno, poi, individuato 50 aeroporti brasiliani situati in zone che vedono una costante presenza del virus nel raggio di 50 km. Grazie ai dati forniti dall’Air Transport Association sono state mappate le destinazioni finali dei viaggi internazionali dei viaggiatori in partenza dagli aeroporti a partire dal settembre 2014 all’agosto 2015.
Nei dodici mesi oggetto della valutazione, 9,9 milioni di viaggiatori sono partiti dagli aeroporti brasiliani verso differenti destinazioni internazionali. I Paesi preferiti quale meta degli spostamenti sono stati: Stati Uniti d’America, Argentina, Cile, Italia, Portogallo, Francia, Cina e Angola.
Se si considera che alcuni dei Paesi citati vedono una presenza stagionale costante delle zanzare Aedes sul proprio territorio oppure in particolari aree geografiche del loro territorio (Stati Uniti d’America, Italia ed Argentina), i risultati della valutazione suggeriscono che oltre il 60% della popolazione vive in aree favorevoli alla distribuzione stagionale dello Zika virus ed è quindi potenzialmente esposta al rischio di infezione.
Giuseppe Marano, «Zika virus: proposto un modello di diffusione mondiale», www.centronazionalesangue.it
La risposta in un pixel
«Le epidemie si diffondono nelle reti sia a livello globale (per esempio, attraverso la rete degli aeroporti) sia a livello locale: le malattie infettive che si trasmettono da una persona a un’altra dipendono dalle reti sociali degli individui.
Nelle epidemie, insomma, come accade in molte altre dinamiche, l’eterogeneità fa la differenza. Gli studi sugli incidenti e gli attacchi hanno mostrato che gli hub mantengono in connessione le diverse parti della rete. Questo implica che agiscano anche come ponti per la diffusione delle malattie. I loro numerosi collegamenti li mettono in contatto con molti individui, sani e malati: è quindi facile che un hub si contagi ed è facile che contagi. I superdiffusori delle epidemie di cui parlano gli epidemiologi sono probabilmente proprio gli hub delle reti sociali.
Il quadro generale della diffusione di un’epidemia in una rete sociale si può estendere, almeno in parte, al caso in cui i nodi non rappresentano persone ma luoghi (per esempio, aeroporti) e quello che si diffonde sulla rete sono persone (per esempio, passeggeri sani o contagiati). In questo caso, si può definire una soglia globale di invasione, al di sopra della quale la malattia diventa una pandemia, e sotto la quale rimane contenuta a livello locale. Chiudere gli aeroporti non è una buona idea, in generale: bisognerebbe chiudere il 90 per cento degli aeroporti per bloccare efficacemente certe malattie – e questo avrebbe un costo economico e sociale troppo alto.»
Per saperne di più: Pixel Scienza delle reti