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19/07/2016

Cost accounting: i classici della disciplina commentati


Beniger J.R., The Control Revolution – Technological and Economic Origins of the Information Society, Cambridge, Harvard University Press, 1986 (trad. it. Le origini della società dell’informazione. Torino, UTET, 1995).

La traduzione italiana del titolo dell’opera di J.R. Beniger tradisce l’intento dell’autore, che è proprio quello di cogliere «la rivoluzione», o, forse meglio, «l’evoluzione» dei processi di controllo a fronte dell’evoluzione delle tecnologie. La lettura di questo saggio, coinvolgente quanto quella di un romanzo, ci porta infatti per mano nell’analizzare i problemi che le imprese hanno dovuto affrontare, dall’epoca della prima rivoluzione industriale, per «inventare» meccanismi di integrazione, coordinamento, controllo, di tecnologie che diventavano sempre più veloci e con volumi di produzione sempre maggiori. Dopo secoli in cui la natura – il vento, i corsi d’acqua, la forza degli animali ecc. – condizionavano i ritmi del produrre, con l’avvento della macchina a vapore tutto cambia, e i cambiamenti si susseguono, fino a quelli generati dalle tecnologie informatiche. Una lettura quindi utilissima per comprendere alla radice i problemi che costing e controllo di gestione hanno contribuito a risolvere

 

Clark Maurice, Studies in the Economics of Overhead Costs, Chicago, University of Chicago Press, 1923.

Nel 1932, in piena epoca fascista, il Prof. Giovanni Demaria, che diventerà rettore dell’Università Bocconi e contribuirà alla difesa della sua autonomia durante il fascismo e nell’immediato dopoguerra, cura un volume della collana di economisti italiani e stranieri. Tra questi inserisce Clark, che, visti i tempi, diventa «Maurizio», e pubblica il capitolo più importanti della sua opera «Studies in the Economics of Overhead Costs», con il titolo «Studi sull’economia dei costi costanti». Ancora oggi la lettura dell’opera di Clark è di grande interesse. Come tutti gli economisti, Clark è interessato alla relazione costi-prezzi e al suo impatto sul funzionamento dei mercati. Abbandonati però gli schemi sull’andamento dei costi medi e marginali dei marginalisti, che formulavano ipotesi nate ai tempi della produzione agricola, e non adatti alla nuova realtà delle imprese industriali, Clark si avvicina alla realtà dei nuovi contesti produttivi, dove le macchine, e i costi costanti che li caratterizzano, giocano un ruolo decisivo. Da qui prende spunto un’analisi di grande interesse sulla rilevanza dei diversi tipi di costo nelle decisioni, sulla discriminazione dei prezzi, e così via, il tutto collocato nei diversi contesti tecnologici, con particolare riguardo alle imprese ferroviarie e di pubblica utilità. Clark percepisce con chiarezza la distinzione tra produzione di massa e produzione flessibile, anticipando la problematica del costing che diventerà critica negli anni Ottanta del secolo scorso.

 

Womack J.P., Jones D.T., Roos D., The Machine that changed the World, New York, Rawson-MacMillan 1990 (trad.it. La macchina che ha cambiato il mondo, RCS Rizzoli Libri, Milano, 1991).

Alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso le imprese automobilistiche americane ed europee stavano soccombendo di fronte alla concorrenza giapponese. Come era possibile? Come riuscivano le imprese giapponesi, e in particolare la Toyota, a produrre a costi così bassi quelle automobili di altissima qualità che battevano facilmente i concorrenti? L’industria dell’auto era forse destinata ad andare incontro alla stessa sorte di quella delle motociclette, dove i giapponesi avevano acquisito in primato ormai consolidato? Poteva tutto imputarsi al basso costo della mano d’opera, o a quella particolare cultura giapponese – rispetto dell’autorità, spirito di sacrificio ecc. – che la seconda guerra mondiale ci aveva fatto conoscere?

Ci volle una ricerca di 5 anni, condotta dal prestigioso Massachusetts Institute of Technology (MIT) per farci capire che le ragioni stavano altrove, in un nuovo modo di gestire la fabbrica, che venne battezzato lean production, «produzione snella». L’ingegner Toyoda, per risollevare le sorti della sua impresa distrutta dalla seconda guerra mondiale, era stato capace di coniugare gli insegnamenti della rigida linea di montaggio di Henry Ford – la stretta integrazione delle diverse fasi – con una molteplicità di innovazioni – Kanban, qualità, soluzione dei problemi in linea ecc. – che la rendevano flessibile. La lettura dell’avventura di Toyoda è particolarmente interessante per due motivi.

Il primo: ci troviamo di fronte a una radicale trasformazione nella gestione delle fabbriche che producono prodotti complessi, come le automobili, senza che questo sia determinato da un cambiamento tecnologico. Non la nuova informatica, ma le idee di Toyoda condussero a un nuovo metodo che soppiantò il precedente.

Il secondo: il metodo precedente era quello che otteneva la flessibilità attraverso il decoupling, cioè attraverso la frammentazione della linea di montaggio in tanti reparti indipendenti, collegati attraverso buffer – i magazzini di semilavorati – che consentivano a ogni reparti di seguire i suoi ritmi, valorizzando un altro insegnamento di Henry Ford, l’importanza della saturazione. Questo metodo di produrre trovava nelle pratiche tradizionali del controllo di gestione un valido supporto: a ogni reparto era infatti possibile collegare un conto, a cui addebitare le risorse utilizzate e accreditare il costo standard dei prodotti ottenuti. Era la loro differenza, analizzata con il metodo delle varianti, che esprimeva la performance, che ogni reparto perseguiva autonomamente. Nella produzione snella tutto questo perde di significato: a che serve produrre in modo efficiente prodotti che finiscono in magazzino e che verranno utilizzati chissà quando? Questo libro ci fa quindi capire come il costing tradizionale abbia perso rilievo nel controllo operativo a livello di fabbrica.

 

Johnson H. T., Kaplan R.S., Relevance Lost. The Rise and Fall of Management Accounting, Boston Mass., Harvard Business School Press, 1987.

I manuali di costing spiegano «come», ma raramente fanno capire «perchè», e soprattutto non collocano la risposta in un definito contesto storico e tecnologico. Ma per dominare appieno le metodologie di costing è opportuno capire quando nascono, dove nascono e perché si sviluppano. È proprio quello che fanno Kaplan e Johnson. La combinazione della cultura contabile e manageriale del primo con quella di business history del secondo fa sì che il libro fornisca una descrizione convincente, e quasi appassionante, di come la cost accounting si sia sviluppata prima nelle imprese monofase dell’Ottocento, come le tessili, e poi, con il management scientifico, nelle imprese a lavorazioni più complesse, come le meccaniche. Tutto quanto era necessario «inventare» nella cost accounting aveva visto la luce entro il 1925. Per moltissimi anni non ci furono problemi, anche perché la cost accounting, che serviva per prendere decisioni e governare l’efficienza, era ben distinta dalla financial accounting, impiegata per formulare il bilancio. I problemi emersero nel corso degli anni Ottanta del secolo scorso, quando si verificarono due fenomeni:

la prevalenza dei vincoli di rispetto dei principi contabili propri della financial accounting;

il cambiamento delle tecnologie, diventate flessibili per effetto dell’integrazione informatica-macchine, che fece perdere rilevanza alle informazioni di costo.

Da questi eventi nacque il concetto di «rilevanza perduta», che aprì la strada a nuove metodologie, come l’Activity Based Costing.

 

Johnson H.T., Relevance Regained. From top-down Control to bottom-up Empowerment, New York, The Free Press, 1992.

I giapponesi hanno messo in discussione i modi tradizionali di produrre, e con essi le prassi tradizionali di controllo di gestione nella fabbrica. Una seconda ondata di cambiamenti è poi generata dalla produzione flessibile, resa possibile dal CAM ‒ Computer Aided Manufacturing ‒ e dal CAD ‒ Computer Aided Design ‒. La personalizzazione, e non più l’efficienza, è l’arma competitiva delle imprese, ma con la personalizzazione diventa critica la gestione di altre risorse rispetto al passato, non più quelle di fabbrica, ma quelle di supporto: progettazione, assistenza, vendita personalizzata e così via.

Come gestire questa nuova impresa? Già si era capito che il costing tradizionale non era più in grado di esprimere il costo di produzione del prodotto/servizio venduto. In un best seller, che Johnson aveva scritto insieme a R. Kaplan (Relevance Lost. The Rise and Fall of Management Accounting), già si era tracciata la strada di un nuovo metodo di costing l’Activity Based Costing. Con questo secondo libro Johnson mette in discussione il controllo di gestione tradizionale, fondato sul decoupling e su quello che viene chiamato remote control, e si delinea un nuovo modo di gestire le imprese, fondato sull’empowerment, cioè sul contributo originale che viene da tutti i lavoratori. Per quanto il budget continui a essere utilissimo anche oggi, in questo libro ci sono molte idee originali di cui tenere conto.

 

Kaplan R.S., Cooper R., Cost & Effects. Using Integrated Cost Systems to Drive Profitability and Performance. Boston, Harvard Business School Press, 1998.

Kaplan continua in questo testo la critica ai sistemi tradizionali di costing. Insieme a Johnson ne aveva già dimostrato la rilevanza perduta. Era stato però quest’ultimo, da solo, che in Relevance Regained aveva sfruttato il tema proponendo nuove strade, anche se il fuoco delle proposte andava molto al di là della cost accounting. In questo testo Kaplan si unisce a Cooper ‒ un attento studioso di management che aveva analizzato nella sua opera When Lean Entreprise Collide le strategie seguite dalla imprese, soprattutto giapponesi, per competere nel contesto della «lean economy», cioè quella in cui operano imprese che adottano i metodi della produzione snella ‒ per analizzare un «superamento» con riguardo in modo specifico alla cost accounting. Con un’adeguata collocazione temporale e tecnologica, vengono quindi analizzati i problemi che nascono dell'impiego dei sistemi tradizionali, dei costi standard e dei budget flessibili, e si analizzano a fondo i nuovi metodi di Activity Based Costing, il tutto contestualizzato nei settori industriali e di servizi e con un fuoco sui loro impieghi a fini di management

 

Horngren C.T., Cost Accounting. A Managerial Emphasis, Englewood Cliffs, Prentice Hall International, 1962.

Vi sono due tipi di testi di cost accounting che possono essere considerati manuali.

I primi, esclusivamente operativi, espongono i metodi, in modo più o meno approfondito, senza però spiegare più di tanto le loro origini e le loro finalità. Servono quindi ai contabili, ma non al management.

I secondi servono al management per cui sono utili libri come quello di Horngren, che nasce come supporto all’insegnamento della cost accounting nei corsi graduate negli USA. Per questo motivo, oltre che testo contengono domande, problemi e casi. Numerosi libri di questo tipo sono di solito predisposti da docenti di Business School: nel caso di Horngren la Business School è Stanford. Numerosi sono i testi esistenti, ma sicuramente quello di Horngren è tra i migliori, se non il migliore, per chiarezza e livello di approfondimento. La sua lettura, di estremo interesse, consente di «dominare» tutti i temi della cost accounting. La prima edizione è del 1962, a cui ne sono seguite molte altre. Le prime hanno visto come autore il solo Horngren, a cui negli anni successivi si sono aggiunti molti altri autori. In una recente edizione italiana, edita dalla Pearson, i coautori sono 6. Ognuno, a evidenza, ha approfondito un tema «di attualità», senza tuttavia modificare l’impianto di base. Ciò che ne emerge è sicuramente interessante, anche se manca quella coerenza complessiva che era uno dei punti di forza delle prime edizioni 

 

Weil R.L., Maher M.W., Handbook of Cost Management, Hobocon, New Jersey, John Wiley & Sons, II Ed. 2005.

Ci sono due tipi di manuali: quelli in cui uno a più autori propongono un testo «unitario» nella sua struttura, e quelli invece costituiti da un insieme di saggi in cui i cultori della materia affrontano ciascuno un argomento distinto. Di norma gli autori fanno parte di una rete di studiosi, rete variamente ampia: dalla singola università, a contesti nazionali o internazionali. I saggi poi nascono quasi sempre da articoli e capitoli di libri particolarmente significativi, che vengono adattati e aggiornati in occasione della pubblicazione dell’Handbook. Il testo di Weil e Maher raccoglie quindi il meglio del pensiero degli studiosi delle più importanti università degli Stati Uniti sui diversi temi propri della cost accounting. La sua lettura consente quindi di leggere il meglio sui diversi temi specifici, e, vista la numerosità dei saggi – 31 – di avere anche il quadro complessivo della materia. Vale la pena di evidenziare che oltre ai saggi sui diversi argomenti, il manuale contiene un approfonditissimo glossario di più di 150 pagine e, per chi è interessato alla storia degli studi di management, la storia dell’evoluzione della professione dell’Accountant e del pensiero degli studiosi che l’hanno condizionata.

 

Caglio A., Il costing oltre i confini dell’impresa, Milano, McGrawill, 2008.

Gli sviluppi delle tecnologie informatiche hanno modificando sostanzialmente i costi di transazione, che sono quelli che, come ha messo in evidenza l’economista Coase, condizionano le modalità con cui vengono integrate le diverse fasi della filiera produttiva, e in particolare la scelta tra il mercato e la gerarchia. Quest’ultima, come è noto, è quella che caratterizza le imprese integrate verticalmente. Da qui nuove modalità di relazioni tra imprese, tra cui le reti, e nuovo rilievo nella considerazione dei costi lungo la supply chain. L’attenzione dei costi non può quindi limitarsi a ciò che succede all’interno dell’impresa, ma deve rivolgersi anche a quello che succede altre i suoi confini. Molti sono i temi al proposito, come per esempio il Total Cost of Ownership e il Chained Targt Costing. Molto di frequente questi temi vengono trattati in modo focalizzato. Il merito del volume di Ariela Caglio è quello, oltre che di presentare questi argomenti, di fornire un quadro di riferimento che consente di collocarli adeguatamente nel sistema delle pratiche a disposizione del management

 

Huntzinger J.R., Lean Cost Management. Accounting For Lean By Establishing Flow, Fort Lauderdale, J. Ross Publishing, 2007.

Tutti scrivono che nel contesto produttivo della produzione snella – lean production ‒ sviluppato dalla Toyota nel secondo dopoguerra, la cost accounting assume connotazioni e finalità diverse rispetto a quelle del contesto tradizionale. Ma cosa vorrà dire tutto questo nel concreto? Il titolo del testo di Hutzinger sembra renderlo perfetto per trovare la risposta. In effetti l’autore va molto oltre il tema specifico. Dopo una lunga parte iniziale, in cui vengono riprese le argomentazioni che Johnson e Kaplan hanno sviluppato in Relevance Lost, Hutzinger non si limita ad approfondire il tema «contabile», ma analizza a fondo il sistema Toyota, descrivendo con chiarezza i nuovi modi di organizzare la produzione. Degno di nota è anche il collegamento con il pensiero «canonico» della Cost Accounting negli Usa. Non mancano i capitoli sul «lean measurement» e sul «lean cost management».

 

Santini F., Il costo di produzione tra cost accounting e strategie di cost management, Torino, Giappichelli Editore, 2010.

Il libro di Santini, seppure non privo di suggerimenti operativi, si segnala da un lato per l’approfondito collegamento tra i principi della cost accounting e l’evoluzione della dottrina italiana e internazionale, e dall’altro con i contesti tecnologici in cui si sono sviluppati.

 

Abell F.D., Hammond J.S., Strategic Market Planning. Problems and Analytical Approaches, Englewood Cliffs, Prentice Hall Inc., 1979.

Il titolo di questo testo fa presumere che i suoi contenuti siano distanti dalla tematica del costing. Contiene invece alcuni capitoli di grande interesse con riguardo al comportamento dei costi, e in particolare all’effetto esperienza, e al suo impatto sulle decisioni strategiche a fondamento dei processi di pianificazione.

 

Richardson P.R., Cost Containement. The Ultimate Advantage, London, The Free Press, 1988.

Gli anni Ottanta del secolo scorso sono stati forieri di grandi trasformazioni nei modi di produrre, e questo si è accompagnato a una crescente attenzione al cost management nella prospettiva strategica. Rimane comunque perenne nelle imprese un imperativo: i costi vanno ridotti. L’effetto esperienza insegna che vi è una tendenza alla diminuzione dei costi in relazione al crescere della produzione cumulata, ma non dà indicazioni su come procedere per ottenere questo risultato. In questa prospettiva di grande interesse è il libro di Richardson, che affronta il tema dei metodi che si possono impiegare per contenere i diversi tipi di costi. Grande attenzione hanno non soltanto le tecniche, ma anche le modalità opportune per ottenere consapevolezza nei collaboratori, per coinvolgerli nei processi di cambiamento e infine per premiarli per i risultati raggiunti.

 

Per ulteriori direzioni di ricerca: Pixel Cost accounting

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